VIA SATERNA, MILANO
- Zanara

- 11 nov
- Tempo di lettura: 11 min

Una strada dove di notte nessuno ama passare.
Si dice che si incontrano certi tipi!
Strano, direi, in un posto così centrale!
Dino Buzzati - Poema a Fumetti
MILAN L’È UN GRAN INFERNO
A Milano, nel quadrilatero formato da via della Moscova, via Solferino, via Marsala e Corso Garibaldi, si trova via Saterna. Lì, l’incauto passeggiatore può, per uno strano giro del destino, imbattersi in una delle porte dell’Inferno. Sono tante nel mondo, milioni. Esse
si aprono quando canta la civetta, si aprono nella notte del morituro, quando la nebbia d’inverno sale su per le vecchie scale, quando i muri dell'ospedale tremano approssimandosi i camion di miserere, quando dal profondo dell’animo tuo sale il buio, la stanchezza, il nulla!
Almeno secondo le parole che Dino Buzzati, nel suo Poema a Fumetti, mette in bocca a uno strano diavolo.
In via Saterna, nel palazzo dei conti Baltazano, abita Orfi, rampollo della nobile famiglia (“più nobile che ricca”) che in barba alla dinastia si è messo a fare il cantante resident del Polyp, locale nei cui sotterranei le minorenni si scalmanano. Di fronte al palazzo c’è una villa bizzarra, nascosta dal muro di cinta.
Sul muro c’è una porta. Orfi la osserva per caso una sera di marzo in cui tutto concorre alla stanchezza, persino la Terra pare afflosciata “sulle ginocchia di Dio”, guardando giù dalla finestra, attirato forse da un taxi che lì di fronte si ferma. Dalla vettura scende Eura, la sua amata Eura che, come presenza fantasmatica, attraversa la porta misteriosa e scompare.
Ben presto Orfi scopre che Eura è perduta, morta d’un oscuro male e che la visione scomparsa dietro la porta di via Saterna altro non era che una proiezione spettrale della ragazza. Decide di seguirne la scia: accede dunque a un inferno che è come la Milano appena lasciata, abitato da diavoli custodi in forma di giacca, disinibite signorine, uomini e donne che hanno case e auto e che parlano e fumano, vi regna un tempo sospeso, una pace terribile sorretta da nostalgia e rimpianto. Vi regna la prevedibilità, l’uniformità, la noia: la morte è una pasta in cui si resta invischiati.
Orfi allora prende la chitarra e stupisce l’inferno, la gente dannata si accalca e così il giovane si guadagna il passaggio, può andare a cercare Eura.
Ora, è pacifico che via Saterna non esiste, perlomeno nei modi che si è soliti far esistere le strade. Eppure, secondo Buzzati, via Saterna è proprio lì, la si può trovare.

Ma perché proprio lì, nei pressi di Largo La Foppa? Sarà, come suggerisce Roda, per via dell’itinerario che Buzzati percorreva ogni giorno verso la redazione del Corriere della Sera? Certo è che quelle fossero geografie a lui care, dove già aveva ambientato alcuni racconti e il romanzo Un Amore, tra le case di ringhiera, in un’isola ancora intatta della vecchia Milano.
O ci sono altre e più segrete ragioni?
L'inesistente via Saterna, cioè l'accesso a un aldilà concepito come un universo senza tempo, speculare a quello dei vivi ma privo di sentimenti, desideri, paure che costituiscono l'essenza stessa della vita, viene posizionata per contrapposizione o forse per scaramanzia, dove, all'epoca della realizzazione di Poema, ancora densa si annidava la vita, in corrispondenza di vecchi caseggiati popolari.
Nostalgia di un tempo che fu, di una città che cambia, di una giovinezza che fugge.
“QUESTO LIBRO LO PUBBLICHERAI TRA VENT’ANNI”
Nel momento in cui viene dato alle stampe, Poema a fumetti possiede già mischiate a inchiostro e colori, le credenziali per scatenare il giusto sconcerto. È il settembre del 1969 e Dino Buzzati ha da tempo assestato alla letteratura alcuni dei suoi ganci più micidiali.
Così, lasciandosi alle spalle le metafisiche del Deserto dei Tartari e le dolorose questioni sentimentali di Un Amore, Buzzati si prepara a scatenare una serie di interrogativi, di sdegni, di reazioni oscillanti tra l’incomprensione e la freddezza pregiudizievole con questa sua nuova opera bizzarra. L’eco di incomprensioni consequenziale alla pubblicazione non è da ricollegare tanto alle tematiche trattate o all’erotismo che soggiace all’intero testo (sono gli anni in cui il fumetto erotico aveva già preso piede tra i giovani), ma piuttosto alla meraviglia nel constatare come un Autore “serio” (che si è guadagnato la maiuscola) come Buzzati potesse cedere alle lusinghe della forma fumetto. Ciò porta alle strette conseguenze di far passare l’opera come un tentativo, un vezzo, un giochetto d’artisti.
Le 208 tavole di Poema a fumetti ripropongono le atmosfere degli anni ’60, in cui, per dirla con Viganò, “convivono tutti i Buzzati – lo scrittore, il pittore, il giornalista –, i suoi linguaggi – la parola e l’immagine –, e ciò che più gli piace: il fantastico, la Pop Art, il surrealismo, la metafisica. E naturalmente il fumetto.” .
Sullo sfondo di una rivisitazione aggiornata al periodo storico del mito di Orfeo ed Euridice, Buzzati costruisce un sistema di citazioni di autori contemporanei e del passato, una serie di omaggi e riferimenti ai generi più diversi, in un lavoro in cui si possono incontrare le “suggestioni infantili” e “gli interessi di adulto”, per un racconto che si offre a più piani di lettura che il lettore è chiamato a decodificare.
Dentro c’è davvero tutto il “Museo Buzzati”, un “cantiere d'elaborazione di materiale visivo”: vi si trovano appunti disegni fatti a margine di lettere inviate, reminiscenze scolastiche, visioni tratte da articoli scritti a inizio carriera. Ci sono diretti riferimenti alle sue opere pittoriche, tavole immaginate a partire da fotografie trovate su riviste erotiche francesi e americane o da fumetti, da libri illustrati e da stampe, opere pittoriche altrui e persino tavole ricalcate da fotografie realizzate come in studio di posa.
Dino Buzzati chiede infatti al pittore Antonio Recalcati di posare come modello per il protagonista del Poema, Orfi. Si svolgono così alcune sedute nello studio milanese in via Settembrini di Rolly Marchi, e successivamente negli studi del Corriere, Buzzati dirige le pose, indica le pose, le espressioni, seguendo una sua segreta regia.
A fare da modelli, oltre a Recalcati, anche la moglie Almerina (nel ruolo di Eura) la modella Runa Pfeiffer (la "valletta" dell'Averno), il fotografo Franco Gremignani (il misterioso uomo verde).

Il lavoro di preparazione all’opera è complesso. Almerina suggerisce un cambio di nome, dall’iniziale La Dolce Morte l’opera diviene il definitivo Poema a Fumetti.
A cena a Cortina d'Ampezzo, a casa di Arnoldo Mondadori dove passano le vacanze di Natale, Almerina, alla domanda dell’editore su eventuali manoscritti nel cassetto e di fronte al marito che nega l’esistenza di Poema, smaschera Dino. Il libro c’è, eccome. Mondadori si incuriosisce, invita Almerina a pranzo, settimane dopo a Milano. Si fa dire tutto. Il libro vedrà la luce nel settembre del 1969 stampato negli stessi stabilimenti di Verona dove a quel tempo Mondadori stampava Topolino.
Il 12 dicembre 1969 alla galleria Cortina in via Fatebenefratelli 18, il Poema viene presentato a critici e giornalisti. Ma ben presto la galleria si svuota, tutti corrono altrove. La notizia che a Piazza Fontana è scoppiata una bomba spoglia la sala.
Nonostante tutto, il libro esce e la prima tiratura si esaurisce in pochi giorni, così come una seconda con sovraccoperta e prezzo maggiorato. E la critica? Si trova di fronte ad un oggetto non meglio identificato che fa alzare più di un sopracciglio: non sanno come approcciare quel testo così indefinibile, i pareri non si accordano e più di un intellettuale manifesta il proprio sdegno nei confronti di un tentativo “così grossolano” di accostare testo e immagini.
Buzzati ne è consapevole: “Questo libro lo pubblicherai tra vent’anni”, aveva detto alla moglie. I tempi non paiono maturi.
ROMANZO GRAFICO
Si può pontificare quanto si vuole, per quanto inutilmente, tra le impalpabili linee di confine tra cultura alta e cultura bassa. Ma il rapporto che lega Buzzati al fumetto è di intensa passione e amore manifesto. Significativa la sua prefazione a Vita e Dollari di Paperon de’ Paperoni del 1968, in cui scrive:
Colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratta di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni. [...] Sono i due protagonisti, Paperino e Paperon de’ Paperoni, a fare la gloria maggiore di Walt Disney. La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens.
Buzzati, autore “letterario”, giustifica e nobilita il fumetto, paragonando i suoi protagonisti ai grandi classici della letteratura in un tempo in cui la legittimazione culturale dei fumetti non aveva raggiunto i livelli di oggi.
Intenso è in generale il suo rapporto con l’arte figurativa, tanto da affermare di essere un “pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista”.
La passione per la pittura (già svelata nei disegni che accompagnavano La famosa invasione degli orsi in Sicilia del 1945) è denunciata apertamente dal vasto gioco citazionistico di Poema a fumetti, nel quale l’autore “si è speso senza riserve, aprendo le porte del suo personale museo del fantastico”.
Spinti dai ringraziamenti posti in apertura dallo stesso autore, è possibile riconoscere nelle tavole dell’opera, l’origine di ogni elemento. Ecco, dunque, che troviamo l’immagine dell’impiccato a pagina 12 tratta da un Atlante di medicina legale di Waldemar e Otto Prokop, stampato a Roma nel 1966; Salvador Dalì, ispiratore con il suo Telefono aragosta del telefono stanco di pagina 33; l’immagine di Mademoiselle Fèline ritratta a partire da una fotografia di Irving Klaw ; due elementi appartenenti ai quadri di Caspar David Friedrich Collina e campo arato presso Dresda e gli alberi de Il cimitero dell’Abbazia sotto la neve rintracciabili nella tavola a pagina 112; riferimenti alle illustrazioni di Arthur Rackham e alle opere di Otto Greiner (la cui opera Il diavolo mostra al mondo la sua donna è usata per comporre il disegno di pagina 121); ma anche Achille Beltrame, storico illustratore delle copertine de «La Domenica del Corriere»; Wilhelm Busch, autore di Max und Moritz (1865) e padre del fumetto moderno; Hans Bellmer e le sue bambole a grandezza naturale utilizzate per l’immagine di pagina 165; e i riferimenti cinematografici a Friederich Wilhelm Murnau (Buzzati prende in prestito l’ombra di Orlok da Nosferatu del 1922 per trasformarla in quella appartenente al vecchio orologiaio che rincasa a pagina 132) e a Federico Fellini, ringraziato per un’idea (i treni a più piani dei defunti a pagina 194) del regista riminese avuta ai tempi della lavorazione della sceneggiatura di Il viaggio di G. Mastorna, film mai realizzato su un violoncellista sperduto in un Oltretomba molto simile a quello di Poema a fumetti.

Il gioco messo in piedi da Buzzati è di singolare concretezza. Oltre alle citazioni dichiarate vi sono una serie di ammicchi e omaggi che il lettore è chiamato a scoprire. I riferimenti si rincorrono, si accavallano e si confondono in un mix continuo di elementi discordanti e complementari, che fanno di Poema a fumetti una delle opere più popolari e al contempo personali dello scrittore bellunese.
A quali altezze si inserisce, dunque, Poema a fumetti nel discorso sorto intorno al rapporto tra testo letterario e fumetto? Si può considerare l’opera buzzatiana un graphic novel in nuce? L’opera fumettistica seria di un autore serio?
Dipende. Parrebbe di no, che neanche di fumetto si tratti, stando a Nella Giannetto:
Le pagine in cui figurano le caratteristiche nuvolette con dentro le battute dei personaggi si contano sulla punta delle dita. I testi occupano in genere, non delimitati da specifiche recinzioni, spazi di volta in volta diversi che l'autore riserva loro con grande libertà, evidentemente lasciandosi molto guidare dai ritmi suggeriti dal disegno. La storia è sì costituita per lo più – come è tipico dei fumetti – da dialoghi tra i personaggi, ma si tratta di dialoghi sui generis. Dialoghi che a volte sono di fatto pensosi monologhi. Ci sono poi le canzoni di Orfi – lunghissime a volte, come quella dedicata agli incanti e alle tristezze della vita mortale –, le riflessioni dell'io narrante, che giunge addirittura a rivolgersi al lettore con il tu, come in un romanzetto dell'Ottocento. E manca – lo faceva notare già nel ’69 Cesare Garboli – il ritmo tipico dei fumetti, fatto di velocità, di simultaneità.
Quel che è certo è che, a volerlo definire, come scrive Lorenzo Viganò, si può procedere solo per negazioni: non è un romanzo, né un racconto illustrato; non è un libro d’arte e nemmeno un portfolio dell’autore; non è neanche, per dar ragione alla Giannetto, propriamente un fumetto. Eppure è sicura l’influenza del comic erotico degli anni Sessanta, incarnato nelle succinte figure della Barbarella di Jean-Claude Forest e della Valentina di Crepax o della Satanik di Bunker e Magnus. Non solo. L’opera di Buzzati è riuscita a garantire una dignità innegabile al mezzo fumettistico, tanto che Sergio Bonelli ammetterà di sentirsi sollevato nel momento in cui “una persona di tale prestigio si era degnata di servirsi di questo mezzo di espressione”.
Volendo definirne l’eredità culturale, dunque, si potrebbe dire che Buzzati aprì le porte al romanzo grafico in Italia, e al graphic novel almeno un decennio prima di Will Eisner? La sentenza ci appare inesprimibile, salvo però intravedere, o immaginare di vedere, tra le pagine di Poema a fumetti, un qualcosa di rintracciabile in opere successive. Si interroga a tal proposito Filippelli, riconoscendo nell’uomo con l’impermeabile e la sigaretta alle porte dell’Inferno il John Constantine di Alan Moore da Swamp Thing, e domandandosi quanti e quali autori possano aver ispirato l’opera di Buzzati:
tutta l’opera è intrisa di una poetica che, opportunamente rielaborata e fusa con tradizioni differenti, si ritrova nel Sandman di Neil Gaiman (che proprio sulle pagine della serie Vertigo, ha scritto la sua personalissima interpretazione del mito di Orfeo ed Euridice) mentre molte vignette e molte situazioni, il finale in particolare, sembrano l’anello di congiunzione tra George Herriman e Moebius.
Supposizioni o speranze, che lasciano spazio solo a qualche certezza: un autore come Milo Manara ha esplicitato l’influenza di Buzzati per la sua formazione artistica, dicendo la sua sulla specificità fumettistica dell’opera.
Poema a fumetti è una delle opere fondamentali per me. Prima di tutto perché si tratta di un fumetto vero e proprio, come è inequivocabilmente dichiarato già nel titolo. Sappiamo che in pittura non è tanto importante il soggetto quanto il modo in cui viene rappresentato. Nel fumetto avviene esattamente l’opposto: la cosa importante è il soggetto, la cosa rappresentata. […] Ci sono artisti come Roy Lichtenstein che hanno utilizzato il fumetto come tecnica pittorica per fare un’operazione sul linguaggio […] ma senza minimamente interessarsi al vero valore del fumetto che, come si è detto, è narrazione. Dino Buzzati, invece, ha creato un fumetto autentico, adottandone la tecnica povera, scarna, efficace, i colori piatti, la scansione narrativa schematica, la complementarietà tra disegno e testo scritto.
Per Manara Poema a fumetti è esattamente quello che il titolo denuncia: un fumetto poetico. Indipendentemente dall’identità del suo autore, il merito dell’opera è quello di configurarsi come tale mezzo espressivo. Narrazione e immagine si compenetrano e danno il senso di un’opera complessiva in cui nessuno dei due elementi prevale sull’altro. Come in ogni fumetto che si rispetti.

Dunque, trascorsi tutti questi anni, qualora si capitasse a Milano, si potrebbe andare a vedere dove l’Inferno si svela? Difficile dirlo.
Nel 1994 Roberto Roda si aggira per Milano, cercandone gli echi buzzatiani, rinvenendo che “quel genius-loci sopravviveva, seppur ridotto a una povera larva all'interno del vetusto edificio di largo La Foppa 4 dove avrebbe dovuto aprirsi la via Saterna”. Ne ricava una documentazione fotografica utile per noi oggi a immaginare l’apertura di un Averno tanto particolare.
Svanite le case di ringhiera, forse la porticina si è spostata di qualche strada, si è aperta da qualche altra parte, o forse la porta di via Saterna appare ancora oggi ma solo in determinate circostanze e solo a certi spiriti. Non resta far altro che camminare per la città, e aspettarsi di tutto, pronti a scorgere la porta, varcarla, se si vuole, e perder ogni speranza entrando.

Bibliografia/Sitografia
Buzzati 1969: Il Laboratorio di Poema a Fumetti, Edizioni Mazzotta, 2002.
«Poema a fumetti» di Dino Buzzati nella cultura degli anni ’60 tra fumetto, fotografia e arti visive, atti del Convegno internazionale a cura di Nella Giannetto, Mondadori, Milano, 2005
http://www.lospaziobianco.it/4691-poema-fumetti/
Dino Buzzati, Un equivoco in: Le storie dipinte, Milano, Mondadori, 2013
Dino Buzzati, Lorenzo Viganò, (introduzione di), Poema a fumetti, Verona, Oscar Mondatori, 2011,






























Commenti