LO ZOO, ANVERSA
- Zanara

- 19 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 4 set

Uno scultore milanese originalissimo, salito in bella fama a Parigi, è ivi scomparso ora drammaticamente - Rembrandt Bugatti, il popolarissimo scultore di animali.
da L’Illustrazione Italiana del 16 gennaio 1916.
REMBRANDT L'ANIMALIER
C’è un mistero d’attrazione che lega Rembrandt Bugatti agli animali dello zoo di Anversa.
Non c’è giorno in cui non ne osservi i movimenti, i sussulti delle pellicce, le geometrie dei muscoli, il divorare delle fauci. Rembrandt prende appunti, li guarda perfino mentre defecano, fino a perdersi, a dimenticare di essere uomo dalla parte giusta della gabbia.
Forse perché in quella sofferenza Rembrandt ha modo di rivedere la sua: il mondo degli uomini è una gabbia ancora più grossa. Sono mute le sofferenze di Rembrandt, come quelle bestie che non hanno parola.
Poi fuori c’è la guerra, che non è roba da poco, ed è inevitabile. E infatti arriva alle porte di Anversa: i funzionari decidono di sopprimere tutti gli animali dello zoo. Per questioni strategiche. Per Rembrandt è il culmine della tragedia.

Rembrandt Bugatti, figlio di Carlo, stravagante costruttore di mobili caratteristici, fratello di Ettore, fondatore della casa automobilistica, si fa scultore a sedici anni nella Milano degli Scapigliati, i quali frequentano spesso la casa familiare, fino al trasferimento dei Bugatti a Parigi.
Andando via da Milano, Rembrandt si lascia alle spalle la città fiorente e frenetica, prodromo della società dei consumi a venire, immersa “nello spleen intriso di nebbia, dei fumi delle fabbriche, della polvere delle demolizioni e del vapore dell’oppio” e si guadagna nuove geografie parigine. Va ad abitare al 2 di Rue Joseph Bara da cui spesso e volentieri s’invola verso il Jardin des Plantes, attraversando boulevard Saint-Michel e coprendo facilmente i due chilometri che lo separano dallo zoo di Parigi.
I giardini zoologici, quello di Parigi prima e di Anversa poi, diventeranno “la sua unica consolazione”, come dirà in una lettera al fratello. Lì troverà i suoi inconsapevoli modelli, una parata di “pellicani, antilopi, leopardi, leoni della Nubia, rinoceronti indiani, gazzelle di Grant, elefanti, pitoni, tigri, giaguari, cervi, condor, bisonti, formichieri”.

Dall’autunno del 1906 Rembrandt comincia a vivere ad Anversa. Lo zoo Antwerpen è allora uno dei migliori d’Europa. L’arrivo di un “rinoceronte stupendo” vale come una scusa buona per trasferirsi in una casa nella De Keyserlei. Così, appena mette piede nella città belga, Rembrandt punta dritto allo zoo, con ancora la valigia in mano.
Lo zoo si trova attaccato alla grande stazione Antwerpen-Centraal, il tragitto è breve, l’entusiasmo infinito. Ad attenderlo l’ingresso del parco e l’immagine dei due mosaici, una tigre che schiaccia il serpente e un leone che ruggisce. La città fiamminga accoglie lo scultore con una delle sue piogge violente e ventose. Rembrandt si ripara nel palazzo delle scimmie, “eccitate dal temporale” e si riflette nello sguardo d’uno scimpanzé staccatosi dal gruppo. La visione è significativa, la fa sua. Dunque, procede verso il Grande Tempio Egizio:
Con i pantaloni inzuppati d'acqua fino a metà polpaccio, Rembrandt accede al pronao, al di là dell'architrave, sorretto da quattro mastodontiche colonne. Sui due capitelli esterni sono dipinte delle fronde di palma da dattero, mentre in quelli centrali è scolpita la testa di Hathor, la signora celeste, la vacca alata che ha dato vita al creato; sul fregio della trabeazione dei geroglifici raccontano la storia del Tempio. Il soffitto è azzurro, coperto di stelle dorate a cinque punte, fra cui si allungano ali nere da avvoltoio. Rembrandt percorre con lo sguardo le pareti, su cui dove appaiono leoni, struzzi, ghepardi, gazzelle, giraffe, coccodrilli, zebre, antilopi, iene, leopardi, insieme a figure solenni di sacerdoti, guerrieri e dèi del Nilo. È la rappresentazione del concetto secondo cui non esiste nel creato una gerarchia definita, una gerarchia nella quale l'uomo occupa una posizione superiore a quella delle altre creature. O almeno, lui vuole interpretarla così.
Grazie allo zoo di Anversa, Rembrandt accresce il suo “patrimonio di esperienze selvatiche”, diviene amico del direttore e dei custodi e riesce persino a ospitare per un breve periodo due antilopi nel suo studio, avendo così modo di studiarne alla perfezione le anatomie e i caratteri.

Il mondo degli uomini si fa sempre più sfocato, Rembrandt se ne tiene sempre più ai margini, anche perché le otiti croniche rendono il consorzio dei suoi simili, le loro parlate, i loro rumori, solo un brusio, mentre ancora riconosce alla perfezione la lingua delle bestie e degli animali, dal barrito al ruggito. Ed è per lui una consapevolezza che fa sorridere.

QUESTA VITA TUTTAVIA MI PESA MOLTO
Sii cattivo con gli uomini, gentile con tua moglie, Dio con i tuoi figli e buono con gli animali...
Rembrandt Bugatti
Il 20 agosto del 1914 Anversa diventa capitale. Intorno l’avanzare degli eserciti, i prati bruciano, le case sono depredate, sventrate, crivellate. L’inferno si affaccia sulla Terra. I tedeschi sono alle porte. Una lettera arriva a Rembrandt, direttamente dal direttore dello Zoo Antwerpen, Michel L'Hoëst.
Mio caro amico, l'orribile ma anche, in qualche modo, pietosa carneficina avrà luogo domani. Se mi è stata risparmiata la tremenda sofferenza di dover impartire il comando di aprire il fuoco, ho però dovuto io stesso organizzare scrupolosamente ogni cosa...
Le parole del direttore dello zoo comunicano la catastrofe, l’ineluttabile carneficina degli animali dello zoo. Non si può infatti permettere che una bomba liberi le belve, che esse si impadroniscano della città assediata, o che i loro corpi insepolti appestino l’aria. E per quanto riguarda il seppellimento, a fatica si interrano gli uomini…
All’alba, un plotone di cinquanta uomini del II reggimento degli Chasseurs à Pied si presenta ai cancelli dello zoo.
Armati di fucile Mauser a ripetizione con baionetta innestata. I soldati sono in alta uniforme: la giacca è verde scuro, a doppio petto, con un cordone giallo appuntato sulla spalla, i pantaloni grigi con una sottile linea gialla sul fianco, e lo shako è sormontato da un pennacchio di piume nere.
Niente guanti bianchi, ma solo perché i guanti non agevolano il compito di armare il fucile. [...] I soldati percorrono in fila, ordinatamente, il grande viale d'ingresso. Marciano oltre il padiglione in cui, in tempo di pace, nelle domeniche di tarda primavera e d'estate, un'orchestrina suona valzer, polke e marcette.
Gli uccelli vengono sparati nelle gabbie con cruda professionalità, per l’elefante indiano si organizza una vera e propria esecuzione con i soldati disposti su due file, accovacciati e in piedi. Un solo colpo in mezzo agli occhi mette fine alla reclusione delle tigri, dei daini, delle gazzelle, delle zebre.
Per le antilopi non si spreca nemmeno quello, si ricorre semplicemente alla baionetta. Il plotone d'esecuzione viene però ricostituito per il rinoceronte, le giraffe e gli ippopotami. L'agonia del rinoceronte è durata ore dopo che il fuoco concentrato lo ha abbattuto.
La mattina seguente nel pallido cielo autunnale sopra lo zoo volano in cerchio i corvi.

Si inaugura la fine. Sono anni difficili quelli che seguono. Riesce a tornare a Parigi grazie a un passaggio del console francese. In Italia si arruola nell’esercito, congedato nel 1915, torna a Parigi.
Negli ultimi tempi, modella un crocefisso in cui cerca di congelare il dolore visto e provato, l’atrocità d’un mondo in fiamme. Tutte le sue opere d’animalier le ha lasciate ad Anversa. A 32 anni, tubercolotico e in crisi finanziaria, l’8 gennaio del 1916, Bugatti sale le scale del suo atelier a Montparnasse, apre il rubinetto del gas, si adagia sul letto, muore per “une intoxication par le gaz d’éclairage”.

Nella sua breve esistenza, Rembrandt Bugatti ci ha lasciato un carnevale di elefanti, pantere, giaguari leoni e pachidermi (il fratello renderà il suo elefante danzante simbolo della Bugatti Royale) cristallizzati nel gesto puro dell’istinto. Una visione concretizzata da una meraviglia che si fa metallo per non esaurirsi.
Di questo Bugatti, artista e uomo, Edgardo Franzosini ne ha raccontato la breve vita a colpi d’acquerello in un bellissimo libro del 2015. E mentre il colore dilaga sulla pagina bianca in forma di nera prosa, Rembrandt si riaffaccia un attimo dagli anni andati con quella stessa aria di chi ha attraversato la vita con la riservatezza e la dedizione che solo il genio si può permettere.
Bibliografia essenziale
Questa vita tuttavia mi pesa molto, Edgardo Franzosini, Adelphi, 2015.
L’Illustrazione Italiana del 16 gennaio 1916.
P.S.
Finita una guerra ne è venuta un'altra, ovvero la Seconda. Alla sua conclusione gli abitanti di Anversa, appena liberati, mostrarono i loro sentimenti verso i prigionieri tedeschi e i collaborazionisti belgi rinchiudendoli nella gabbia dei leoni dello zoo.









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